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... E ritorno a casa - Racconto & immagini (2)

  • aa1269
  • 29 apr 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

(p. 161) Uscire dalla frescura garantita dal castello fu come entrare in una sauna dopo un tuffo in mare dal pontile di un traghetto norvegese.

Tornai all’ingresso e diedi due dinari al custode. Pensai che non mi era ancora capitato di pagare il biglietto per visitare un sito turistico dopo averlo visitato. Mi parve curioso, quasi quanto i modi gentile del custode, un giovane beduino che si comportava come se i visitatori li ospitasse a casa sua e li conoscesse da tempo.

Appena arrivato al castello mi ero recato alla soglia della biglietteria e avevo intravisto il giovane indaffarato a mettersi una maglietta e a sistemarsi. Era in una stanza secondaria sul retro della biglietteria. Mi ero chiesto se stesse riposando nel pieno del digiuno dovuto al Ramadan. Avevamo parlato a distanza, non era nemmeno uscito dalla stanza. Gli avevo accennato di voler pagare il biglietto, ma lui aveva fatto capire che potevo andare, avrei pagato dopo.

Il giovane indossava jeans chiari, stretti in vita da una cintura di cuoio troppo tesa per nascondere la magrezza dello stomaco, e una maglietta bianca girocollo. Il ghutra era fissato alla testa con un doppio nodo semplice.

«Come ti chiami, amico», dissi.

«Io sono Ammar», disse. «Dai, siediti, beviamo un tè.»

Mi condusse nella tenda in stile beduino allestita vicino alla biglietteria per accogliere i turisti. Sedemmo all’inizio del divanetto che correva lungo le pareti e ci scambiammo parole pro forma. Poi mi chiese del viaggio. Gli risposi con le notizie che si scambiano i viaggiatori: provenienza, destinazione, tempi, clima incontrato, tappe intermedie.

«Dove hai imparato l’inglese, Ammar?». Il giovane parlava un inglese povero ma efficace.

«Turisti. Parlare turisti», disse. Poi chiese: «Di dove sei tu?»

«Italy. I-t-a-l-i-a.»

«Ah, I-t-a-l-i-a! Bella Italia! Parla Italia!»

Pensai: E ora cosa gli dico? Era il genere di discorso che in poche parole viene male, e non volevo usarne troppe. Per fortuna Ammar si stufò presto dell’Italia, incuriosito da me piu che dal mio paese.

«Che lavoro fai?», disse.

«Insegno, all’università.»

«Sei sposato?» «Hm...». Presi tempo.

«Hai figlie?»

«Hm...». Ripresi tempo. Per un uomo beduino non avere moglie e figli, soprattutto figli maschi, era una tragedia. Poi dissi: «E tu? Sei sposato, tu?»

«No», disse.

Lo provocai scherzosamente: «Come mai? Alla tua età un uomo beduino e già spostato da un pezzo!».

«Io moglie!», disse. Poi mi spiegò che stava disperatamente cercando una moglie. Ripetè «disperatamente» due volte.

Improvvisamente capii che Ammar aveva chiesto non a caso se avessi figlie (e non figli). «Hai figlie da sposare per me?», disse. «Io sono veramente veramente un buon marito!».

Quindi si inerpicò sui perché e i percome lui fosse veramente un buon marito, un uomo adatto alle mie figlie.

«Mah, a dire il vero io non...». E ora cosa gli dico?

«Foto, foto!», disse. «Fammi una fotografia, così quando torni in Italia mostri alle tue figlie!»

«Mah, a dire il vero io non ho...»

«Foto, foto!»

Niente. Ammar non voleva saperne della verità, qualunque essa fosse. Per lui, io figlie ne avevo di sicuro.

Pensai: Stai al gioco! Ero curioso di capire fino a dove si sarebbe spinto per chiedere la mano di un’ipotetica mia figlia.

«Okay, se ne può parlare», dissi.

Ammar si fece serio – su donne e cammelli un uomo beduino non scherza mai. Gli si accesero gli occhi. «Come si chiama la tua figlia? Quanti anni ha?», disse.

«Genoveffa, venti», dissi. Erano il primo nome e numero che mi venissero in mente; un nome che per me era da fiaba e l’età della mia nipote maggiore.

Ammar sembrò follemente innamorato di Genoveffa solo a sentirla nominare. «Hai una sua fotografia?», disse.

«No, mi spiace.»

«Quanto costa?»

Tergiversai. «Quanto cosa? Cosa intendi?»

«Quanto costa sposare Genoveffa?»

«Ah, be’... uhm.»

A questo punto il meccanismo del gioco si inceppò. Forse non era ben oliato; di certo, io non ero preparato a rispondere: sapevo troppo poco di matrimoni beduini per negoziare un prezzo.

«Tantissimo», dissi facendo l’occhiolino.

Ammar sorrise.

Pensai: È bello quando le persone si capiscono all’istante.

Più tardi feci la fotografia che Ammar voleva che portassi alle mie figlie. Poi indicai il supporto di legno per l’incenso appoggiato sullo scaffale lungo il lato esterno della tenda, l’oggetto in vendita più vecchio e sgangherato.

«Quanto costa?», domandai.

Ammar sorrise ancora. «Cinque dinari», disse.

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