... E ritorno a casa - Racconto & immagini (inizio)
- aa1269
- 8 apr 2016
- Tempo di lettura: 3 min

Mi è stato chiesto più di una volta perché in "Arabia Svelata" non ho incluso le fotografie. La risposta è semplice: ci ho pensato ma i limiti tecnici di stampa imposti da Amazon (CreateSpace, precisamente) non consentono l'inclusione di un inserto fotografico in carta patinata ovvero diversa da quella usata per il testo. E stampare le fotografie su carta "semplice" avrebbe compromesso la qualità delle immagini. Dunque ho deciso: niente foto.
Fino a qui le "bad news".
Le buone notizie sono due:
1. Se vi capiterà di partecipare ad una delle mie prossime presentazioni del libro, qualche fotografia la vedrete! (Seguitemi su Twitter o guardate la sezione "News & Eventi" di questo sito per sapere quando e dove saranno.)
2. Oggi ho deciso di iniziare una serie di "post" in cui includerò alcune fotografie scattate nel mio peregrinare durante il viaggio di ritorno in Italia, da Khobar all'ormai famoso "maso tra le Dolomiti orientali" di cui scrivo nella seconda parte di "Arabia Svelata". Niente di lungo o estenuante da scrivere o leggere; spero niente di noioso. Sia chiaro. In ogni post, ci saranno qualche fotografia di una "tappa" del viaggio e alcuni stralci di scrittura tratti da "Arabia Svelata" relativi alla tappa. Null'altro.
Eccovi l'inizio:
(p. 142) Guardai di sotto. La Toyota era parcheggiata di traverso sulla sabbia, in un posto che non era il solito. Non era nemmeno un parcheggio. Se ci fosse stata l’erba sarebbe potuto essere un’aiuola, ma l’erba non c’era: era tutto sabbia e radici affioranti.
La mia automobile era in quel posto senza nome in via eccezionale, per la prima volta in assoluto, solo perché il giorno dopo – tra poche ore – sarei partito. Avevo spostato la macchina il più possibile vicino al giroscale per caricare i bagagli. Su e giù per due piani di scale non era uno scherzo, se compiuto più volte di fila a quaranta gradi; ridurre a zero i metri orizzontali dal giroscale alla macchina mi era parsa un’utile compensazione dello sforzo. Quel luogo anonimo, né parcheggio né aiola, il pomeriggio era all’ombra, una cosa buona per caricare i bagagli.
Il compound era deserto. La maggioranza dei residenti stranieri era tornata a casa per le ferie estive; quelli che erano rimasti erano pochi e in altre palazzine.
Due gattini distesi sul tetto della Toyota davano l’impressione di star bene. Gli animali sani non vanno dove stanno male, specie i gatti; e, se sono malati, vanno dove stanno bene per morire. Erano visibili a stento. Uno era chiaro. Forse era il gatto rossiccio che girava spesso attorno agli alberelli del piazzale sotto casa, ma la luminosità era scarsa per essere sicuri. La pancia e le zampe erano bianchi, il resto era una tavolozza di colori indistinguibili. L’altro gattino era nero e si confondeva con il tetto rubino scuro della Toyota.
Il buio era infranto dalla luce del lampione che tante sere mi aveva infastidito con la sua palla bianca. Sul balcone trascorrevo sere interminabili e bellissime, da solo o in compagnia; a volte ci dormivo, nei weekend, quando il modo migliore per passare la serata era leggere e riflettere e bere birra analcolica per superare la calura. L’acquisto dell’automobile aveva cambiato gli equilibri; percorrere i viali deserti o la battigia delle spiagge inanimate a sud di Khobar, leggere e riflettere o ascoltare musica davanti al mare erano emozioni alternative a cui avevo dato sempre più tempo a scapito della mia presenza notturna sul balcone.
Ma ora era finita.
Alzai lo sguardo. Una pausa di silenzio si perse nella notte.
Spensi la videocamera.
«Da Khobar è tutto», bisbigliai.
Spero che la "serie di post" sarà di vostro gradimento. Avrò piacere di ritrovarvi presto, anche nei vostri commenti, a partire dai quali sarà bello iniziare un nuovo dialogo.
Grazie.
- AA
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